Armeggiò con i braccetti dell’antenna per intercettare il segnale della TV privata Triveneta. Pochi minuti dopo attaccò la sigla Carnival, cantata da Antonio Infantino, e iniziò la trasmissione Calcio spettacolo brasiliano. La prima TV a colori era costata tanti sacrifici al papà Florindo, ma a volte per prendere meglio il segnale era meglio premere il tasto per tornare al bianco e nero.

In quelle immagini disturbate e piene di interferenze il ragazzino ebbe una specie di rivelazione. Quei campi con l’erba tagliata alta e rigogliosa, quelle porte con i pali verniciati di nero in basso e le reti lunghissime. E soprattutto quel modo di giocare, completamente diverso da quello che aveva visto in Italia. Gli sembrava che gli atleti, oltre che giocare a calcio, ballassero. Mentre si passavano il pallone sentì una specie di musica in sottofondo. Un florilegio di dribbling, tunnel, numeri di prestigio. Se qualcuno azzardava certe cose sui campi italiani si beccava uno “scapaccione” appena tornato nello spogliatoio. Lì invece erano il cuore dello spettacolo.

C’era il Flamengo, ma anche il Bangu, lo stadio Brinco da Princesa, il Botafogo, il Palmeiras e le prodezze dei vari Cerezo, Junior, Dirceu, Socrates, Roberto Dinamite, Carpegiani, Cláudio Adão… e «il lungo crinito e barbuto», così lo chiamò il telecronista, Luizinho. E poi Juary, che dopo una tripletta con la maglia del Palmeiras, a ogni gol fece il giro della bandierina del calcio d’angolo…
«Gooooooooooooooooooooooooooooooooool!!!!!!!
Gooooooooooooooool di Zicoooooooooooooo!!!».
Così urlò quella sera il telecronista Mario Mattioli che con il suo commento in stile brasiliano cercò di catapultare gli spettatori in quel mondo.

Proprio Zico colpì più di tutti la fantasia del ragazzino. E il giorno dopo al campetto di Caldogno riprovò tutti i numeri che gli aveva visto fare in TV. Gli altri si divertivano a farsi la telecronaca per sentirsi dei calciatori veri. Lui non ne aveva bisogno. Giocò in silenzio e intanto replicò esattamente quello che aveva visto fare da Zico. Solo una cosa non capiva proprio: «Come fa a mettere i calci di punizione sempre all’incrocio dei pali scavalcando la barriera?».

Qualche anno più tardi Zico venne a giocare in Italia, all’Udinese, e il ragazzo chiese al papà di portarlo in Friuli per vedere dal vivo le sue famose punizioni. Gli raccontarono che al primo allenamento Zico decise di allenarsi con la barriera mobile. Calciò cinque punizioni, e per cinque volte consecutive colpì la traversa. Allora chiamò il magazziniere e gli disse di controllare l’altezza della porta, perché doveva esserci qualcosa che non andava. Il magazziniere prese il metro e andò subito. Misurò e fece una scoperta: la traversa era 4 centimetri più bassa dell’altezza regolamentare.

Tratto da: “Roberto Baggio – Il Divin Codino ” di Claudio Moretti