In un epoca come quella attuale dove i giocatori sono icone di stile e andare controcorrente è diventato di uso comune, è bene ricordare chi, in tempi dove tutto ciò era utopia, sfidava il conformismo con naturale sfrontatezza.


L’epoca è quella degli anni ’60. L’alba delle leggendarie rivoluzioni sessantottine e i successivi tumulti degli anni ’70.
In Inghilterra un quartetto di Liverpool chiamato Beatles, stupiva il mondo con la sua musica e il look innovativi. George Best, incantava sul rettangolo verde e faceva parlare di sé al di fuori per stile di vita e vestiario.
E in Italia? Beh, per convenzione storica noi siamo sempre indietro al resto del mondo che corre. In questo caso no. Noi avevamo Gigi Meroni.


Ala destra comasca dotata di un dribbling sopraffino e ubriacante unito a un estro geniale. Rimasto orfano di padre all’età di 2 anni, cresce con mamma Rosa e i fratelli Celestino e Maria. Per aiutare la famiglia, in adolescenza, lavorò come disegnatore di cravatte e nel tempo libero iniziò a dedicarsi ad una passione che lo accompagnerà per tutta la sua breve ma intensa vita: la pittura.
Esordisce in prima squadra a 18 anni con il Como in serie B, il 14 maggio del 1961. L’anno seguente è titolare riuscendo con le sue doti ad incantare la proprietà del Genoa che lo acquista la stagione successiva permettendogli di fare il grande salto in serie A. Con Mister Renato Gei è considerato una seconda scelta, riuscendo comunque a togliersi la soddisfazione dell’esordio in un Genoa-Inter 1-3 e del suo primo gol nella massima serie che già risulta fondamentale per il Grifone poiché siglato nello scontro salvezza con il Vicenza. E’ l’anno successivo però quello della svolta. In panchina arriva Benjamin Santos e Gigi prende il volo. 8° posto finale e vittoria della Coppa delle Alpi. Al temine di quella stagione lascerà il club dopo 42 presenze e 7 gol totali che gli valgono un posto nel cuore della tifoseria rossoblù.


E’ il 1964 e ad investire su di lui è il Torino. Qui trova un grande maestro di calcio qual è il Paròn Nereo Rocco. Con lui cresce in modo esponeziale come calciatore. Di pari passo però c’è anche la crescita del suo stile di vita provocatorio e anarchico. Giacche sgargianti, pantaloni a zampa d’elefante, cappelli stravaganti e occhiali da sole abbassati all’altezza del naso usati anche di sera. A completare il tutto, una gallina portata a spasso al guinzaglio come fosse un comune cane e la relazione con una donna sposata di nome Cristiana Uderstadt con la quale conviveva. Tutto ciò in un epoca bigotta e conformista, dove giacca e cravatta era quasi d’obbligo e il divorzio era considerato un idea poco più che da sanatorio. Inevitabilmente finì nel calderone delle più spietate critiche giornalistiche. Ma Gigi sembra tirare dritto per la sua strada convinto delle sue scelte.

L’unico compromesso che accetta è quello di tagliarsi i capelli per vestire la maglia azzurra della Nazionale. Con il CT Fabbri ( che ritroverà nel Toro) però i rapporti non sono idilliaci tanto che nonostante la convocazione per il Mondiale Inglese del ’66 scende in campo in una partita su tre, tra l‘altro persa contro l’URSS 1-0. In granata però le cose sono completamente diverse. E’ il leader indiscusso. Arrivando nella stagione 66/67 al suo record stagionale di reti, 9. La perla di quella stagione e forse anche della sua carriera, è il gol all’Inter degli Invincibili di Helenio Herrera. Dribbling e pallonetto al limite dell’area che s’insacca nel “sette”. Nerazzurri sconfitti dopo 3 anni d’imbattibilità.
Come la maggior parte delle icone di qualsiasi epoca però, il destino decide di consegnarlo alla leggenda. E’ la sera del 15 ottobre 1967, Torino-Sampdoria 4-2. Mister Fabbri concede la serata libera. Meroni, dopo qualche ora passata con i suoi compagni di squadra decide di tornare a casa assieme all’amico Fabrizio Poretti. Accortosi di non avere le chiavi dell’abitazione decide di chiamare la sua compagna in un bar vicino. Tornando, attraversa Corso Re Umberto all’altezza del civico 46. E’ nel mezzo della carreggiata quando fa un passo indietro venendo investito da una Fiat 124 Coupè guidata da Attilio Romero (futuro presidente della società) e scaraventato nella corsia opposta dove una Lancia Appia non può evitarlo. Sono le 21.30 circa. Un ora più tardi verrà dichiarato morto all’Ospedale Mauriziano.


Il fato che non è mai banale, a pensarci bene, ha disegnato per lui un uscita di scena che ricalca un po’ tutta la sua esistenza. Lui che era sempre avanti, con il suo modo di concepire la vita, in amore, nell’arte e nel look. E’ andato via la settimana prima del derby. Entrato nella storia come quello che vide la più larga vittoria del Torino sulla Juve, 4-0. Prima della rivoluzione sociale che da lì a poco portò, tra le altre cose, all’approvazione della legge sul divorzio. Prima di tutto ciò c’era lui.

Gigi Meroni. Un giocatore moderno di 50 anni fa.

di Fabrizio di Biase