Comunque, avevo bisogno di competere a un livello più alto. Per me, per la Selección, e per loro, per il Napoli stesso. Dovevo aiutare i napoletani a dare battaglia contro il resto d’Italia, soprattutto i potenti, quelli del Nord: la Juve, l’Inter, il Milan… Per questo motivo minacciai Ferlaino, lo minacciai di andarmene se non avesse portato dei rinforzi validi per la stagione 1985- 86, proprio quella che precedeva il Mondiale. Così arrivarono Renica dalla Sampdoria; Garella, il portiere del Verona campione d’Italia, che parava con i piedi ma parava; e, soprattutto, Bruno Giordano dalla Lazio.

Giordano mi piaceva da morire, e mi sembrava che, malgrado tutti i casini che aveva, fosse un giocatore da Napoli. Perché al Napoli non voleva venire nessuno, per via della camorra, per la città, per tutto quello che succedeva. Ma Giordano era un tipo vaccinato, molto vaccinato: era stato coinvolto nel
casino del totonero, lo scandalo delle scommesse; nella Lazio giocava dappertutto, a destra, a sinistra, in mezzo… Lo volevo con me e andai a cercarlo personalmente. Mi disse subito di sì. Costò tre miliardi, ma ne valse la pena. Almeno il peso di guidare la squadra non sarebbe ricaduto tutto su di me. Lui veniva a giocare qualche metro più indietro, io stavo un po’ più avanti. Io feci undici gol, lui dieci. E portammo il Napoli molto in alto. Finimmo terzi, a sei punti dalla Juve che vinse lo scudetto, e ci qualificammo per la Coppa Uefa. I napoletani non riuscivano a crederci. Io sì.

Tratto dal libro “La Mano di Dio” di Diego Armando Maradona