Waldemar collaborava con una giovane società di Santos, una cittadina in riva al mare, appena oltre São Paulo.

«Signor De Brito, ho già detto no a quegli altri che volevano portarselo a Rio…». «Ma Dona Celeste, Santos è una cittadina piccola, poco più grande di Bauru e ha una buona squadra di calcio. È lontana, ma almeno è nello stesso Stato ed è meno problematica di una metropoli come Rio de Janeiro».

Il sì di Dondinho non fu nemmeno in discussione, ma di nuovo Dona Celeste pose il veto. Waldemar era un uomo perseverante e iniziò un lungo lavoro ai fianchi della mamma di Pelé. La fece parlare al telefono con il presidente del club che le assicurò che lo avrebbe seguito personalmente, come un figlio, e lo avrebbe tenuto lontano dalle cattive compagnie. Tra una testarda di pancia come Dona Celeste e un testardo di testa come Waldemar il vincitore non poté che essere quello più scaltro e freddo dei due. Dondinho e Pelé salirono su un treno alla stazione di Bauru, direzione San Paolo. Pelé era emozionato. Aveva lo stomaco sottosopra dall’emozione. Alla stazione di San Paolo incontrarono Waldemar.

Salirono su un autobus. Waldemar si sedette accanto a Pelé con Dondinho alle loro spalle. Waldemar gli parlò molto durante il viaggio, ma Pelé rispose con rapide parole automatiche, tranne una volta. «Niente cattive compagnie fuori dal club. Mi hai sentito? Io sono responsabile verso tua madre e tuo padre… no fumo, no alcol, niente caccia alle ragazze…». «Ragazze? No, stai tranquillo Waldemar…».

Tratto da “Pelè, il re del calcio” di Claudio Moretti