Compie gli anni uno dei calciatori più amati del calcio italiano per la sua genuinità e l’aria da ‘amico di famiglia’ che l’ha reso simpatico anche agli avversari nonostante sia riuscito a segnare decine di gol in tutte le categorie. É stato l’unico giocatore insieme ad un altra icona del calcio di provincia come Igor Protti a vincere la classifica marcatori dalla C alla A. Nato il 28 aprile del 1967 a Miuggia in Friuli, Hubner ripercorre in una intervista a gianlucadimarzio.com alcune tappe della sua carriera.

“A 16 anni facevo il fabbro. Quello sì che era un lavoro vero. Poi ho fatto il calciatore e per me era semplicemente la cosa che mi piaceva fare. Mi divertivo e mi sentivo fortunato: non ho mai dimenticato le cose semplici che in tanti hanno perso di vista durante la carriera”.

Poi gustosi aneddoti sugli inizi di carriera ed il soprannome di Tatanka: “L’anno in cui lasciai la mia Trieste per la Pievigina, campionato Interregionale. Poi il direttore sportivo che mi aveva voluto passò alla Pergocrema in C2. Mi portò con sé e lì iniziò la mia scalata, partendo dal Fano di Guidolin per poi arrivare al Cesena, dove esplosi e divenni Tatanka. A Crema mi chiamavano l’ariete, prima ancora il Mulo di Trieste. Sono stati i tifosi bianconeri a chiamarmi per primi Bisonte. Penso che sia un soprannome azzeccato, un animale a cui assomigliavo nel modo di correre. Potente e ingobbito”.

80 reti in 5 stagione con il Cesena ma una fama da giocatore “poco professionale”, che fuma e beve dopo le partite ma a lui non sembra importare granchè: “A me bastava stare bene, dove mi apprezzavano e vicino a casa. Però sono contento, tutte le piazze in cui ho giocato, da Crema a Mantova, mi ricordano con grande affetto. E questo per un giocatore è il massimo”.

Poi arriva la grande occasione con il Brescia nel 1997 neopromosso in Serie A, con l’esordio a San Siro lo stesso giorno di un certo Luis Nazario da Lima Ronaldo, il giorno dopo l’incidente che costò la vita a Lady Diana; un esordio che più “storico” non si può per Hubner: “Quando mi chiamò il Brescia neopromosso in Serie A era una chance da non perdere. La notte prima della partita, fino alle quattro di mattina ero attaccato al televisore a seguire l’incidente di Lady Diana. Se era un modo per stemperare la tensione? Io il calcio l’ho sempre vissuto con tranquillità, qualunque fosse la partita. Quando c’erano i gran premi di Formula 1, altra mia grande passione, se li facevano alle sei di mattina mica me li perdevo. Dormire poco o mangiare tre chili di carne al giorno non è mai stato un problema. In campo davo sempre tutto e quello bastava, a me e ai miei compagni. Quindi quella notte di fine agosto era un ritiro come tutti gli altri. Ero felice e lo sono rimasto fino all’ingresso in campo: 85mila in uno stadio non li avevo mai visti in vita mia. Uno stimolo spettacolare, non una fonte di difficoltà”.

E Hubner bagna il suo esordio con un gran gol che lascia di sasso il portiere nerazzurro Pagliuca: “Poi si è svegliato Recoba e vabbé, l’Inter vinse 2-1. Ma la soddisfazione resta, ero contento perché sapevo di aver finalizzato il lavoro dei miei compagni. Devo sempre ringraziare loro se ho segnato così tanti gol”.

Poi una frase che lascia trapelare quella che è la filosofia di Dario Hubner: “Una volta eravamo undici operai che lavoravano insieme per l’industria squadra. Non solo in campo, ma soprattutto al di fuori: un gruppo di amici, prima che colleghi. Oggi invece mi sembra spesso di vedere undici industrie”.

Ed un ricordo su quello che probabilmente è stato il riconoscimento della sua grande carriera da “bomber di provincia”; la tournee statunitense con il Milan nel 2002 che Hubner ricorda così: “La tournée estiva con il Milan per me è stata un sogno. Mi ricordo alla perfezione ciascuno di quei 12 giorni negli Stati Uniti: la mia stanza fumatori in albergo, le uscite con Zauli, Tonetto e Ambrosini, che era con me già a Cesena. E poi lo shopping americano di Costacurta con la Colombari: quanto avevano speso!”.

Non c’è che dire: ci manchi Darione!