Giocatore preferito di Pasolini, Giacomo Bulgarelli è stato una bandiera e una leggenda del Bologna. Con l’Italia ha vinto gli Europei del 1968.

“Bulgarelli gioca un calcio in prosa: è un ‘prosatore realista'”. – Pier Paolo Pasolini, ‘Il Linguaggio del calcio’

Dotato di tecnica sopraffina e di una visione di gioco eccezionale, Giacomo Bulgarelli, fra i migliori centrocampisti della sua generazione, era il giocatore preferito di Pier Paolo Pasolini,  che lo intervisterà con la squadra in ‘Comizi d’amore’ e tenterà invano di scritturarlo per un film.

Nei primi anni gioca da ala destra offensiva, diventando poi mezzala, regista e persino libero negli anni della maturità. Bandiera e simbolo del Bologna,  di cui sarà il capitano per 10 anni e con cui spenderà praticamente l’intera sua carriera, in rossoblù vince lo Scudetto 1963/64,  2 Coppe Italia, una Mitropa Cup e una Coppa Italo-Inglese.

In azzurro, invece, nonostante la vittoria degli Europei del 1968 senza mai scendere in campo nella fase finale, i ricordi saranno per lui piuttosto negativi: dopo un 4° posto alle Olimpiadi di Roma ’60, partecipa ai Mondiali di Cile ’62 e di Inghilterra ’66, che si riveleranno entrambi un flop per la Nazionale.

L’edizione inglese, soprattutto, lo vedrà interprete sfortunato della storica debacle contro la Corea del Nord a Middlesbrough: pur non al meglio, il Ct. Edmondo Fabbri insisterà per schierarlo titolare, con il risultato, in un’epoca in cui ancora non esistono le sostituzioni, che Bulgarelli dovrà  lasciare il campo dopo un contrasto duro degli avversari, lasciando i compagni in 10 uomini per il resto del match.

Lasciato il Bologna nel 1975, all’età di 34 anni, prima del ritiro definitivo dalle scene fa una breve esperienza nella NASL, il campionato nordamericano in grande ascesa negli anni Settanta, disputando 2 partite con gli Hartford Bicentennials.

Giacomo Bulgarelli nasce il 24 ottobre 1940 Portonovo di Medicina, nella pianura bolognese, da una famiglia benestante della piccola borghesia. Nonostante la Seconda Guerra Mondiale, può condurre un’infanzia tranquilla e si contraddistingue fin dalla tenera età come un bambino particolarmente vivace.

A 6 anni, infatti, quando il terribile conflitto è ormai finito, con un amichetto vuole giocare a ‘L’Inferno a Chicago’ (film del 1937), dà fuoco a due baracche   di legno e poi si nasconde per vedere che effetto fa: peccato che la zona sia ancora piena di mine. Fortunatamente tutto si risolve senza gravi conseguenze, e se al suo amichetto, picchiato a cinghiate dal padre, va peggio, Giacomo, come racconterà lui stesso, se la caverà con “due mestolate nel sedere”.

Papà Leardo e il parrocco decidono allora di convogliare questa esuberanza nella pratica sportiva, e così Bulgarelli inizia a giocare a calcio nella squadra dell’ oratorio di Don Dante Barbiani. La squadra, come scrive Italo Cucci nel libro ‘Il Mondo di Giacomo Bulgarelli’, ha un nome che è tutto un programma: ‘O la va o la spacca’.  

Nel caso di Bulgarelli, la spaccherà. Perché la famiglia da lì a poco si trasferisce nel capoluogo, in via Montanari, nel quartiere Mazzini,  per stare vicina alla sorella Luigina, che vuole continuare studiare. E Giacomino? È un ragazzo sveglio e intelligente, e ad 11 anni il padre lo iscrive alle scuole medie ‘San Luigi’, destinate ai ragazzi di buona famiglia e dirette dai padri bernabiti.

A questo punto entra il gioco il destino.  Un giorno, infatti, Istuan Mike, attaccante ungherese che ha giocato in Italia con Bologna, Napoli e Lucchese (in rossoblù dal 1947 al 1950 e dal 1952 al 1954), dalla finestra di casa sua vede Bulgarelli giocare in cortile con i suoi amici e ne resta folgorato: con una facilità disarmante il ragazzino più mingherlino quando vuole salta tutti e va a fare goal.

Mike, che a Bologna tutti chiamano ‘Stefano’, all’italiana, o ‘Pista’, il soprannome che gli era stato affibiato, non ci pensa due volte e segnala quel ragazzino al connazionale Gyula Lelovich, capo allenatore delle Giovanili rossoblù.

Il Bologna dà appuntamento a Giacomo al campo dei Ferrovieri, dove si svolgerà il suo provino. Il ragazzino non è molto veloce, usa solo il destro ma ha una classe sublime per uno della sua età. Il giudizio di Lelovich è così molto positivo: 

“Gioca senza guardare il pallone, nessuno alla sua età lo sa fare. Prendiamolo”.

C’è però un piccolo problema burocratico: per dirla come Gigliola Cinquetti, Giacomo non ha (ancora) l’età. Per entrare nelle Giovanili di un club di calcio, all’epoca, occorre infatti aver compiuto 14 anni. Per un anno, dunque, il talento bolognese si allena con i rossoblù in condizioni di clandestinità.  

Al compimento dei 14 anni viene finalmente tesserato ufficialmente dal club felsineo:  nessuno in quel momento poteva immaginarsi che quel ragazzino dal fisico esile sarebbe diventato il simbolo stesso del club e la sua bandiera più luminosa.

FONTE: GOAL.COM