Walter Junior Casagrande é stato un grande attaccante brasiliano arrivato in Italia grazie all’Ascoli e poi esploso definitivamente con il Torino di Emiliano Mondonico, trascinandolo fino alla finale di Coppa Uefa persa contro l’Ajax. Durante un intervista rilasciata al sito toro.it ricorda soprattutto la grande rivalità con la Juventus:

” Io ho giocato nel Corinthians, nel Flamengo, nel Porto e ad Ascoli. Tutte queste squadre hanno delle rivali, degli avversari storici. Ma io come spettatore di calcio, ora, quando guardo queste rispettive avversarie non tifo contro. Con la Juve proprio non ci riesco. Voglio sempre che vinca l’altra squadra, qualsiasi essa sia. Perché quando sono arrivato a Torino, mi sono immerso in quello che è lo spirito del Toro. Quando sono arrivato, ho letto, come ho sempre fatto in verità, la storia della squadra nella quale avrei dovuto giocare. Ho quindi appreso bene dell’incidente di Superga, delle difficoltà dopo lo Scudetto del ’76… Ma sapevo già molto prima di arrivare, grazie ai racconti di mio padre, sin da quando ero bambino. Era nelle nostre mani il futuro del Toro, dovevamo fare qualcosa e credo che l’abbiamo fatto. È impossibile pensare di fare una cosa importante per il Toro, e poi tifare per la Juve, quando magari gioca contro il Barcellona…”


Casagrande poi spiega il perché é così diverso indossare la maglia granata: “Io ho sempre giocato in società con una grande storia alle spalle: il Flamengo, per esempio, è quella con il maggior numero di tifosi in Brasile, subito dopo c’è il Corinthians. Ma qui è tutto diverso: chi viene qui non gioca solo a calcio, deve imparare anche altro. Il tifoso del Toro, e parlo soprattutto di quello più maturo, ha sofferto tanto. Bisogna capire che giocare per loro, per quel pubblico, è diverso. Io ho voluto fortemente venire nel Toro, ci ero già andato vicino nell’87, sono arrivato solo qualche anno dopo: per me è stato un successo anche solo vestire quella maglia. Forse, è stata una delle cose più importanti della mia carriera: vincere quasi passava in secondo piano, giocare era davvero più importante.”