Compie gli anni Demetrio Albertini, centrocampista di geometria diventato grande con Sacchi e Capello nel Milan, con una immensa carriera chiusa con le maglie di Barcellona e Lazio.

In una recente intervista a Giuseppe Perrone de “il Giornale”, Albertini, che ha ricoperto importanti incarichi in FIGC, racconta uno scorcio della sua vita personale prima di diventare una stella del calcio: “Mio padre, mio primo allenatore da bambino, mi ha sempre seguito, come ha fatto con i miei fratelli. E se giocavo male non faceva come gli altri genitori urlanti attaccati alla rete. Lui fischiava. Lo distinguevo nettamente. Da ragazzo, sacrifici per unire allenamenti e scuola: Due chilometri a piedi, un treno e quattro mezzi per arrivare a Linate. Uscivo alle 6,30, prima la scuola. Un vicino di casa, talvolta, mi dava un passaggio al ritorno altrimenti tornavo alle 21,30. Una cosa così si fa solo per passione. A quell’età nessuno ti dice vincerai, guadagnerai, diventerai famoso. Non parlo di sacrifici ma di rinunce. Gli amici facevano le castagnate, le gite sulla neve. Io i tornei. Ho dovuto cercare un equilibrio che a vent’anni è difficile, specialmente se sei affermato, famoso e con disponibilità economica. Cominci a vivere da adulto senza esserlo”.